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La transizione ecologica

Contesto

Dalle analisi condotte dall’Environmental Performance Index (EPI) della Yale University e dall’Index of Economic Freedom emerge una chiara correlazione tra la libertà economica e sostenibilità: i Paesi economicamente più liberi mostrano valori più elevati di sostenibilità, mentre quelle con minori livelli di libertà economica tendono ad avere performance ambientali più scadenti.

È nei Paesi più industrializzati, là dove è garantita una maggiore libertà di intraprendere e di innovare, che negli ultimi decenni si è assistito ad una divaricazione tra crescita economica ed emissioni di CO2 pro-capite. Questo è stato possibile grazie all’innovazione tecnologica, all’adozione di tecniche di produzione più efficienti e pulite e all’incremento dell’uso di fonti energetiche a bassa emissione di carbonio. In questo modo abbiamo, per esempio, limitato il buco dell’ozono, ridotto l’inquinamento dell’aria, contenuto la contaminazione del suolo e delle falde.

Tuttavia, mentre i Paesi industrializzati hanno fatto progressi significativi nella riduzione delle emissioni, i Paesi in via di sviluppo, spesso privi delle risorse necessarie per affrontare il cambiamento climatico, continuano a essere fortemente dipendenti da combustibili fossili. In molte parti del mondo, avere una fornitura di energia sicura e a buon prezzo è una questione prioritaria rispetto al tentativo di mantenere stabile la temperatura globale.

L’adozione di energie rinnovabili, che all’evidenza rappresenta la soluzione più auspicabile, non sempre è però praticabile. La povertà energetica in molte regioni del mondo suggerisce che una transizione basata esclusivamente sulle energie rinnovabili potrebbe non essere sufficiente o addirittura impossibile. A tutto questo si aggiunge che, nella maggior parte dei casi, a pagare il conto più salato dei cambiamenti climatici, sono proprio i ceti più poveri, che non hanno le risorse per affrontare un cambiamento di tale portata.

La sfida della transizione energetica è quindi, senza dubbio, la più grande e la più complessa che dobbiamo affrontare, sia a livello nazionale sia a livello Europeo.

Come agire

Approccio integrato e multilaterale

Per fronteggiare questa sfida è necessario un approccio che coniughi gli obiettivi di neutralità climatica con la protezione dei ceti più fragili e la promozione della crescita economica e sociale.

Un elemento chiave di questo approccio, e che si è rivelato efficace, è l’implementazione di un sistema di “carbon pricing”, che incentivi comportamenti sostenibili, stimoli l‘innovazione tecnologica e assicuri un’allocazione delle risorse più rispettosa dell’ambiente. Tuttavia, è essenziale mitigare l’effetto regressivo di queste politiche, ad esempio attraverso l’uso del gettito delle imposte ambientali per ridurre le tasse sui redditi medio-bassi.

Obiettivi e strumenti realistici

Alcuni obiettivi fissati dall’Unione Europea, per quanto ampiamente giustificati dalla rapidità con cui il cambiamento climatico sta procedendo, rischiano di essere poco realistici.

È necessario fare ogni sforzo per ridurre le emissioni, purché tale da non generare sconquassi sociali, o la rivolta delle categoria di volta in volta coinvolte dai cambiamenti.

La parola d’ordine dev’essere “accompagnare” (cosa che rimanda alla necessità di investimenti comunitari assai più consistenti di quelli oggi disponibili, e con ciò alla riforma del bilancio europeo). Allo stesso tempo, per raggiungere i migliori risultati in termini di decarbonizzazione, è fondamentale adottare una prospettiva di neutralità tecnologica, che non precluda l’utilizzo di alcuna tecnologia a priori, ma che punti a promuovere quelle più efficaci e sostenibili.

Quando parliamo di transizione energetica è fondamentale mettere da parte le ideologie, i “no” aprioristici e guardare ai dati. Immaginare che nel 2050 si possa pervenire alla neutralità carbonica facendo affidamento sulle sole energie rinnovabili, per esempio, non è realistico. In compenso, considerati gli enormi passi avanti che la ricerca sul nucleare civile ha fatto in questi anni, innanzitutto dal punto di vista della sicurezza, appare ragionevole riconsiderare il nucleare all’interno del nostro futuro mix energetico.

Accompagnare la transizione

“Accompagnare”, si è detto: dev’essere questa la chiave per rendere la transizione energetica socialmente sostenibile. Vale per le tantissime imprese chiamate a rivedere i loro metodi di produzioni, vale per le famiglie cui è chiesto di intervenire sugli immobili di proprietà per migliorarne le performance energetiche, vale per la mobilità, che rapidamente dovrà affrancarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili.

“Accompagnare” la transizione significa renderla possibile – a volte attraverso incentivi o sussidi, a volte attraverso l’implementazione di soluzioni di mercato come quella delle “energy saving companies” (ESCO), in ogni caso con un metodo improntato alla gradualità – senza che produca scompensi dal punto di vista sociale (soprattutto tra le fasce di popolazione più fragili o nel tessuto delle piccole e micro aziende) o che si generi un’opposizione al cambiamento green tale da inficiarne il percorso. In molti casi la chiave risiede nell’innovazione tecnologica.

È l’innovazione, per esempio, la strada per consentire all’agricoltura di ridurre fortemente il proprio impatto ambientale – a partire dalla rinuncia ai fitofarmaci – senza che questo comporti una contrazione dei raccolti e un pesante sacrificio per il reddito dei coltivatori.

La transizione verso un’agricoltura più sostenibile è inevitabile, ma deve essere affrontata in collaborazione con gli agricoltori, non contro di loro. Soluzioni tecnologiche avanzate, come l’agricoltura di precisione, l’uso dei droni e la selezione di nuove specie resistenti ai parassiti o alla carenza di acqua, offrono la possibilità di conciliare le esigenze agricole con la protezione dell’ambiente.

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