Una politica estera e una difesa comune europea
Una politica estera e una difesa comune europea
Contesto
Viviamo in un mondo in cui la minaccia della guerra, anche su larga scala, è sempre più concreta. L’invasione russa in Ucraina del febbraio 2022 ha riportato la guerra ai confini del nostro Continente.
Il Medio Oriente è di nuovo in fiamme. Se vogliamo contribuire a preservare la pace, o a ripristinarla dov’è stata travolta dalle armi, è necessario che l’Europa guadagni la capacità di esprimersi con una voce sola, autorevole. Cosa che oggi non è in grado di fare, perché la competenza della politica estera è frammentata tra gli Stati membri.
Il primo obiettivo – contenuto nella riforma dei Trattati e della governance europea – è dunque quello di dare all’Unione gli strumenti per definire ed esercitare un ruolo molto più efficace sulla scena internazionale.
La possibilità che gli Stati Uniti si disimpegnino anche solo parzialmente dalla NATO – come Donald Trump ha lasciato a più riprese intravedere – richiede però che si affronti anche il tema della Difesa comune. Dobbiamo impegnarci per mantenere salda la collaborazione atlantica, ma la sicurezza dei cittadini europei non può essere totalmente dipendenti dagli Stati Uniti. Se vogliamo tenere la guerra lontana dal suolo dobbiamo guadagnare una maggiore autonomia anche su questo fronte. L’Europa dev’essere in grado di difendersi.
Come agire
Politica di difesa comune
Negli ultimi 10 anni Russia e Cina hanno aumentato i loro bilanci per la difesa rispettivamente del 300% e del 600%. Nel 2022 gli USA hanno dedicato 800 miliardi di dollari alle spese militari. L’UE ha aumentato collettivamente la spesa del 20%, con l’obiettivo di arrivare ad un livello di poco superiore a 200 miliardi nel 2027. Una spesa minore rispetto agli altri attori internazionali, eppure tutt’altro che trascurabile. Ma se frammentata, non coordinata, questa spesa non garantisce alcuna vera sicurezza o capacità di deterrenza.
La stessa Agenzia Europea di Difesa riconosce questa lacuna e dal 2017 ha attivato dei programmi, come la cooperazione strutturata permanente (Pesco), per incentivare l’integrazione delle forze armate. Tutto questo, però, non è sufficiente se non viene riconosciuto all’AED un ruolo più centrale e di maggiore importanza, sia in termini operativi, sia attraverso maggiori finanziamenti.
Negli scorsi mesi, la Commissione Europea ha presentato una strategia industriale e il Programma europeo di Difesa (EDIP) volti all’ampliamento degli acquisti congiunti attraverso incentivi per adeguare la spesa militare e il sistema di produzione di armamenti. In questo modo, la Commissione si ritaglia un ruolo di coordinamento e di facilitatore della politica industriale, nel rispetto dell’autonomia decisionale di ogni Stato membro sulle tematiche riguardanti la difesa. Così facendo, però, non punta a creare un esercito comune.
L’obiettivo di lungo termine dev’essere invece quello di sviluppare – nella cornice dell’Alleanza Atlantica – un’autonomia strategica, una vera “Unione Europea di difesa” con forze integrate, in grado di agire in modo rapido sotto il diretto comando della Commissione Europea. Il ruolo della NATO rimane insostituibile, ma in quel contesto sarà sempre più importante l’Unione Europea sia pronta a fare la propria parte, senza affidare in toto agli Stati Uniti la propria sicurezza.