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L’Europa sociale

Contesto

L’Europa vanta i migliori sistemi di protezione sociale al mondo, che garantiscono ai cittadini europei una qualità della vita mediamente elevata. Il susseguirsi di diverse crisi internazionali, sommati agli effetti dei profondi cambiamenti che attraversano il nostro tempo, rischia però di compromettere la tenuta dei sistemi di welfare e minare la coesione all’interno dell’Unione.

Le dinamiche demografiche, in particolare, sono destinate a mettere sotto pressione la sostenibilità dei sistemi sanitari e previdenziali, mentre la trasformazione del lavoro sotto la spinta della globalizzazione e delle nuove tecnologie digitali rischia di generare nuove situazioni di precarietà e di sfruttamento.

In questo quadro, le competenze dell’Unione Europea riguardo alla sfera sociale – che comprende il lavoro e la salute – sono limitate, perché rimangono perlopiù nelle mani degli Stati membri. Sono i governi nazionali, e non l’Unione, a decidere sulle politiche salariali, e quindi su temi quali il salario minimo, gli accordi collettivi, le indennità di disoccupazione, le pensioni e gli investimenti per la sanità pubblica. L’Europa si è occupata di facilitare la libera circolazione dei lavoratori nello spazio UE, già incluso nei Trattati di Roma del 1957, e di fissare alcune regole comuni sulle condizioni di lavoro, per contrastare le discriminazioni e promuovere la sicurezza dei lavoratori.

È però tempo di immaginare un’Unione più attiva e incisiva nel campo sociale e sanitario, coerentemente con i venti princìpi compresi nel Pilastro Sociale presentato dalla Commissione nel 2017 con l’obiettivo di promuovere nuovi e più efficaci diritti per i cittadini e di creare un mercato del lavoro e sistemi di welfare più efficienti ed equi. Nuovi strumenti andranno progettati, ad integrazione di quelli già disponibili e sperimentati: dall’Autorità europea del Lavoro, al Fondo Sociale; dalla Rete europea dei servizi per l’impiego a Garanzia Giovani; dal Fondo europeo di adattamento alla globalizzazione ad una versione non episodica di Sure – il fondo attivato nel 2020 attraverso il debito comune per salvaguardare l’occupazione europea.

Su cosa agire

Il contrasto della crisi demografica

L’Italia è il Paese più anziano dell’UE. L’età mediana è di 48,4 anni contro una media di 44,5 anni. Secondo l’Istat, il nostro Paese vedrà i propri abitanti diminuire di 7,8 milioni entro il 2050. Aumenterà il numero delle persone anziane e si ridurranno giovani e popolazione attiva, con conseguenze rilevanti sulla sostenibilità del sistema sanitario e di quello previdenziale. 

Quello demografico non è però un problema di cui l’Italia abbia l’esclusiva. Tutta l’Europa ne è coinvolta, con diversi gradi di sostenibilità. Francia e Germania – la prima da più lunga data, la seconda più di recente – hanno implementato politiche familiari che consentono una parziale mitigazione dei fenomeni di contrazione e invecchiamento medio della popolazione. Solo i Paesi Scandinavi potrebbero vedere i loro abitanti aumentare. 

È dunque il Welfare europeo, nel suo insieme, ad essere esposto a fattori che potrebbero minarne la sostenibilità, generando un arretramento dei sistemi di protezione sociale faticosamente costruiti nella seconda metà del XX secolo. La diversa capacità dei sistemi nazionali di adattarsi a queste dinamiche potrebbe a sua volta generare diseguaglianze territoriali e perdita di coesione a livello continentale.

Come intervenire

Politiche a favore della natalità, che comprendano: 

  • Politiche fiscali stabili a favore delle famiglie con figli 
  • Il potenziamento dei servizi per la prima infanzia 
  • Il potenziamento dei servizi di cura per la non-autosufficienza
  • Politiche che favoriscano un’equa condivisione dei carichi parentali
  • Incremento della partecipazione al lavoro da parte delle donne e dei giovani (a partire dai Paesi, come l’Italia, in cui i tassi di occupazione per queste categorie risultano nettamente inferiori alle medie europee), attraverso politiche che comprendano: 
  • Maggiori investimenti nella formazione
  • Innalzamento delle competenze
  • Potenziamento dell’istruzione terziaria
  • Contrasto della dispersione scolastica
  • Canali di immigrazione regolari – cfr. il punto “Governo dell’immigrazione”.

La promozione di politiche per la longevità

Il secondo fondamentale aspetto della transizione demografica è rappresentato dall’aumento delle aspettative di vita e dal maggior peso, in rapporto al corpo sociale, delle componenti più anziane della popolazione: le persone che stanno per raggiungere o hanno raggiunto i 65 anni e più, in Italia e in molti altri Paesi europei, non sono mai state così tante.

L’Italia, in particolare, è al primo posto in Europa sia per percentuale di ultra 65enni (23,8%, corrispondente a 14 milioni di individui) che per percentuale di ultra 80enni (7,6%). La quota degli over 65 arriverà nel 2050 al 35%: un italiano su tre avrà più di 65 anni. Nella stessa data gli over 80 arriveranno al 14,2%. Nel frattempo, per effetto della bassa natalità che ci accompagna ormai da alcuni decenni, la percentuale dei 15-64 anni è destinata a scendere di 10 punti: dal 63,5% al 53,3% nel 2050.
Se da un lato il tema della transizione demografica va affrontato – come abbiamo visto – con politiche pro-natalità e scelte che ne mitighino le conseguenze, dall’altro è altrettanto importante far sì che all’estensione delle aspettative di vita corrisponda un uguale aumento delle aspettative di vita in buona salute.

Non sempre è così, anzi. Soprattutto nel nostro Paese. L’aspettativa di vita a 65 anni in Italia è pari a 18,3 anni per gli uomini e 21,7 per le donne, ben sopra la media UE; se però si guarda all’aspettativa di vita in buona salute a 65 anni i valori si riducono a 10,3 anni per gli uomini e 10,6 per le donne, allineandosi alla media europea (il best performer è di gran lunga la Svezia, dove l’aspettativa di vita in buona salute a 65 anni è pari a 16,5 e 15,4 per donne e uomini, seguita dalla Spagna).
Un’aspettativa di vita lunga ma per la metà non in buona salute si traduce, oltre che in cattiva qualità della vita, in un grave impatto economico e sociale, sia sulle famiglie che sulle finanze pubbliche.

La più evidente conseguenza è infatti l’ampliamento del fenomeno della non-autosufficienza, indicatore di scarsa prevenzione e del difetto di stili di vita propedeutici ad una vecchiaia in buona salute.

È vero, va sottolineato, che le politiche di long term care nei diversi Paesi dell’Unione sono in molti casi migliori che in Italia, ma le dinamiche demografiche sono complessivamente tali da richiedere che la promozione della longevità – come fattore essenziale per la sostenibilità dei sistemi di Welfare – sia assunto a livello europeo come elemento centrale del Pilastro Sociale.

Concretamente, si tratta di incentivare:

  • un diverso orientamento delle politiche sanitarie, non più rivolte prioritariamente alla cura delle patologie, bensì alla prevenzione, attraverso la pratica universale di check-up periodici e la promozione di stili di vita sani;
  • un adattamento degli ambienti urbani alle esigenze dei cittadini anziani (eliminazione barriere architettoniche, spazi pubblici a misura di anziano, forme di trasporto e accompagnamento dedicato, ecc.)
  • forme di lavoro flessibile, anche post-pensione, che mantengano alto il livello di coinvolgimento sociale e l’ingaggio intellettivo delle persone anziane in buone condizioni fisiche;
  • politiche di active ageing, di invecchiamento attivo, fondate sul coinvolgimento delle persone anziane nella vita sociale e pratiche di socializzazione fondate su reti e legami di comunità;
  • forme di “residenzialità condivisa” che consentano agli anziani di rimanere inseriti nella vita di comunità, in abitazioni che sfruttino al meglio le innovazioni della domotica;
  • servizi fisici e digitali a supporto delle persone anziane e dei caregiver;

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